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Per Aspera Ad Veritatem n.26
Mi dichiaro prigioniero politico. Storie delle Brigate Rosse

Giovanni Bianconi - Giulio Einaudi Editore, Torino, 2003



«Mi dichiaro prigioniero politico - Storie delle Brigate rosse» è un tascabile di recente pubblicato da Einaudi, pregevole lavoro giornalistico e narrativo che ripercorre un tratto della vicenda delle Brigate Rosse attraverso le storie individuali di sei suoi militanti, in un arco di tempo che va dal 1970 al 1988, lungo il filo tragico del terrorismo italiano che collega gli anni di Curcio all’omicidio Giorgieri.
Nuove pagine di sangue, in continuità con quella vicenda, sono state scritte successivamente, fino all’assassinio del Prof. Marco Biagi, lo scorso anno a Bologna.
Tuttavia, si tratta di fenomeni almeno in parte diversi, come profondamente cambiata è la società di oggi rispetto agli anni settanta/ottanta. Per queste ragioni, nonostante lo scellerato tentativo di dare continuità all’esperienza del terrorismo, è sicuramente assai utile uno sguardo retrospettivo che favorisca la comprensione storica del fenomeno del partito armato, con le aberrazioni politiche che hanno condotto un certo numero di giovani alla via senza ritorno della violenza criminale, all’illusione di poter sostituire il potere legale con logiche che hanno portato disastri persino all’interno delle stesse organizzazioni della lotta armata, verso la fine degli anni ottanta attraversate da una spirale di vendette e ritorsioni non dissimili da quelle delle organizzazioni mafiose.
Le Brigate Rosse sono d’altro canto il gruppo armato la cui storia ha certamente maggiormente pesato sullo sviluppo civile della democrazia italiana. C’è voluto del tempo perché, con la cattura dei suoi leader più pericolosi, si avviasse un processo di destabilizzazione dell’organizzazione, che per molti versi ha rappresentato la sua definitiva sconfitta anche politica, riconosciuta come tale persino dalla gran parte dei suoi principali ispiratori. Le librerie, con qualche anno di necessario ritardo, hanno iniziato a registrare analisi, racconti di protagonisti, pagine e pagine sui giorni bui della violenza politica in Italia. In questo quadro di riflessione, tra storia e cronaca, si colloca anche il libro di Bianconi, giornalista inviato del Corriere della Sera, la cui vera novità è nel dichiarato intento di avvicinarsi ad una «verità» più convincente rispetto alle ricostruzioni a tesi. Una lettura, insomma, principalmente basata sulle cronache dell’epoca, sulla letteratura esistente, sugli atti giudiziari e parlamentari riguardanti i fatti narrati, nonché sulle testimonianze dei protagonisti raccolte direttamente. Per ciascuno di questi (Colotti, Maccari, Paroli, Piccioni, Seghetti, Vai) Bianconi parte dalla storia individuale, prima che politica. L’intento è di far emergere l’insieme degli elementi soggettivi significativi di ciascun percorso e la continuità della vicenda delle Brigate Rosse attraverso fatti indicativi delle esperienze individuali. La scelta è interessante.
Nel mosaico narrativo si coglie infatti proprio la simbiosi tra esperienze personali e motivazioni collettive, maturate nel contesto politico tumultuoso di quel lungo arco di tempo, che hanno determinato in alcuni la scelta militare nelle Br in situazioni e periodi storici del tutto diversi tra loro. Attraverso i racconti si coglie anche e soprattutto la spietata e drammatica realtà delle uccisioni, delle stragi e delle centinaia di persone cadute vittime dell’ideologia brigatista.
Il simbolo della schizofrenica scansione tra vittima e carnefice è forse proprio la storia del covo di via Montalcini, la prigione di Aldo Moro: una quotidianità agghiacciante sullo sfondo di un Paese drammaticamente sconvolto.
Il lavoro di Bianconi si rivela dunque utile strumento per la ricostruzione della storia del principale gruppo armato che ha operato in Italia, grazie anche alla descrizione oggettiva cui l’Autore non aggiunge valutazioni morali o politiche successive, né formula giudizi, che vanno da sé, con la sensibilità del lettore.
Proprio ora che si ripropongono «nuove Br», con il consueto armamentario ideologico e di morte, l’Autore ha pensato di dare visibilità a «storie» di quelle che sono state le Brigate Rosse «della prima Repubblica», quasi a suggerire, a chiusura del libro, una riflessione che suona come un invito, sull’opportunità di continuare a cercare di capire ciò che è accaduto, le ragioni che lo hanno determinato, gli eventi che lo hanno contrassegnato, le conseguenze che ha prodotto, perché ciò che è accaduto non abbia a ripetersi mai più.



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